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7.5

8

Jojo Rabbit

Direttore

Taika Waititi

Stars

Roman Griffin Davis, Taika Waititi, Sam Rockwell, Thomasin McKenzie, Scarlett Johansson

Scrittore

Taika Waititi

Produttore

Durata

1h 48min

Deals
Anno di produzione

2019

Jojo, un bambino cresciuto dalla sola madre, ha come unico alleato il suo amico immaginario Adolf Hitler. Il suo ingenuo patriottismo viene però messo alla prova quando incontra una ragazzina che stravolge le sue convinzioni sul mondo, costringendolo ad affrontare le sue paure più grandi.

Hitler è risorto! Ha la panzetta e balla sulle note di I want to hold your hand con un giovane amichetto di 9 anni di nome Jojo. O forse sarebbe meglio chiamarlo feldmaresciallo Jojo, perché lui e la Germania nazista in cui vive ci credono molto ai titoli e ai gloriosi valori ariani.

D’altronde “ci ha messo tre settimane a accettare che il nonno fosse biondo”, e poco importa se il vecchio Adolf con cui si diverte è solo nella sua testa, questo basta a fargli credere che per diventare adulto occorre rispettare scrupolosamente i dettami del Fuhrer tipo bruciare i libri da bravi ragazzi. E in un goliardico campo di addestramento scout/balilla – che fa molto Wes Anderson – i capi di Jojo lo invitano a odiare l’ebreo, capitolo primo dell’addestramento, o a piazzare bene le granate. Tutto questo può far ridere? Sì, stiamo parlando di una commedia amara, ma è fondamentalmente una commedia, di Taika Waititi, o meglio, Taika “Cohen” Waititi, regista ebreo neozelandese che tenta il tutto per tutto: irridere la banalità del male, stigmatizzare il dolore, prendere le distanze dalle maledette idiozie che nella storia hanno attecchito diventando sistemi di pensiero, valori inderogabili, strumenti di morte.

Ma va bene, non spaventiamoci! Stiamo parlando di un bambino. Che ha a che fare un bambino con il nazismo? Al di là di qualche poster in camera con il baffetto in evidenza si fa strada l’idea che il male possa avere una certa strada preferenziale nel romanzo di formazione della propria vita. Mettiamo che qualcuno lo abbia posto sullo scaffale dei valori, perché non seguirlo? Cavolo, qui tra una risata (tante risate) e l’altra ci tocca pure riflettere sull’ideologia dell’odio? Lo spero. E chi è l’oggetto del male condiviso? Il capro espiatorio? Lo sappiamo bene. Ma qui scatta il colpo di genio. Non si parla tanto di un Hitler pop tipo “Lui è tornato” o della sua versione (ahimé!) italianizzata, qui la sceneggiatura, tratta dal romanzo Il cielo in gabbia di Christine Leunens, va ben oltre. Se il nazista è un innocente bambino, magari bullizzato col nomignolo “rabbit” per non essere stato capace di ammazzare neanche un coniglio, allora l’ebreo è davvero un nemico da cui difendersi.

O meglio, un persecutore, un mostro, un villain horror che abita nei muri, e che controlla le menti (“tipico!” suggerisce Adolf) insomma una adolescente! Magari difficile da avvicinare, con un caratterino del cavolo, che fare con una così? “Bruciamo la casa e accusiamo Winston Churchill” (ancora Adolf!) ma c’è un’altra donna nella vita di Jojo che sembra essere particolarmente legata al bambino, è sua madre Rosie (una Scarlett Johansson che quest’anno si aggiudicherà senz’altro uno dei due Oscar femminili ai quali è candidata, ndr) anche lei fedele militante. Eppure… queste donne sembrano trasmettere qualcosa di nuovo e veramente forte al bambino per cui il nazismo è una caccia al mostro. I “mostri” ad esempio si combattono… conoscendoli, fuggendo i pregiudizi, evitando cliché tipo “dove mangiate? Dove dormite? E soprattutto dove l’ebrea regina depone le uova?”

 

Occorre “Fare quello che si può”. E se fosse questo il tema di “Jojo Rabbit”? E’ questa una timida anafora sulla bocca delle due donne del film, forse un invito a fare del proprio meglio perché oggi l’orrore non riaccada. Ma che vuole dire Waititi con questo nazista bambino, con questa donna, un Guido Orefice in gonnella e scarpe da ballo, che salva il mondo facendo la mamma?

Tutto ciò fa di questo racconto una vertiginosa provocazione che tenta di miscelare riso e pianto, tentativo riuscito solo in parte a causa di un terzo atto struggente difficile da amalgamare col resto, che però ha un esito davvero originale. Mi riferisco alla possibilità di rintracciare l’umano nell’orrore, a sviscerarlo da tanti cliché e a vedere l’uomo che compie il male come un bambino tentato di rubare la marmellata e accusare il compagno.

Fino a quando parleremo del nazismo come di una forma storica di male ormai conclusa e non denunceremo nel nostro bambino interiore almeno un lontano fascino dell’avversione, non possiamo dire defunto l’ologramma di un Adolf interiore che invita a odiare quotidianamente, come via di salvezza. Restiamo forti allora! Siamo orgogliosi di rifiutare ogni occasione di apertura al male! Siamo eroi! O meglio, siamo “helden”, perché alla fine David Bowie in tedesco ci sta proprio bene.

 

GUSTO: Imprevedibile e coraggioso dramedy sul male e sul relativo fascino.

 

SCENA CULT: La visita della Gestapo.

 

FRASE CULT: Noi combattevamo con gli angeli e uccidevano i giganti. Io discendo da Dio. Tu discendi da un omuncolo che non è nemmeno capace di farsi crescere i baffi!

 

– Ulysses Everett McGill –

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7.5

Good