

7.5
La vita davanti a se’
Direttore
Edoardo Ponti
Genere
Drama , Per Scuotersi
Stars
Sophia Loren, Ibrahima Gueye, Renato Carpentieri
Scrittore
Ugo Chiti, Romain Gary
Produttore
Durata
1h 34min
Austera e sboccata, col trucco slavato, acconciatura iconica, cadente e disinibita, pienamente nella parte, Sophia Loren è indiscutibilmente la leonessa di questo remake del film del 1977 ispirato all’omonimo romanzo di Romain Gray. Sembra di entrare in un tempio senza tempo, palesarsi questa dea del cinema italiano, giovane eppure in continua lotta con la vecchiaia che traspare dalla pelle debole, da alcuni sibili, da piccoli offuscamenti… Come analizzare questo film a prescindere dalla Loren? Che sia lei la leonessa è chiaro, poi c’è quella in CGI (facciamola meglio la prossima volta, ok?) che è l’amica di Mohammed – ma chiamatelo Momò sennó si incazza – piccolo orfano senegalese.
La “sua” tigre è l’unico sogno a occhi aperti che lo faccia evadere dal mondo brutto in cui sta vivendo, non solo per non avere una mamma ma anche per essere un emarginato, un piccolo spacciatore, un gatto di strada che trova casa da Madame Rosa, la Loren appunto, anziana prostituta – ma lei preferisce puttana – di origine ebraica sfuggita all’Olocausto. Anche lei sogna a occhi aperti, a volte sembra assurdo che non riesca a svegliarsi. Ma i suoi sono incubi, fantasmi del passato che salgono su per le scale per rastrellare, deportare, uccidere. Come fuggire da questi fantasmi? Come convincere che sono reali? Come raccontare l’orrore a Momò che chiama il famoso campo di sterminio Auswich (ovvero House Witch), una parola senza senso ma ricca di fantasia per un bambino senegalese?
Momò e Rosa sono due emarginati, per ragioni diverse, due cuori spigolosi che non si prendono perché sono lontani anni luce, perché sono gli archetipi di due mondi distanti, dentro e fuori la finzione filmica, eppure entrambi si trovano a fuggire la realtà consapevoli che quel sogno, pacifico o tremendo, è parte della realtà vissuta. Come farà il leone Momò, che appare costantemente ingestibile, a convincere Rosa che lui ce l’ha un sogno di felicità, ed è nascosto tra le fauci di un bisogno di tenerezza che non riesce ad abbracciare? C’è bisogno che Momò e Rosa, scendano in profondità, al piano di sotto, loro solo, in uno spazio altro, lontano, in cui condividere il bisogno di vita, accorgersi di stare sulla stessa barca spogliandosi così di tante avversioni e insofferenze che spesso ci limitano e non ci fanno avvicinare il diverso, epifania – che ci piaccia o no – della nostra stessa identità.
Che bravo Edoardo Ponti a dirigere sua madre Sophia! Che bravo Massimiliano Rossi a fare lo spacciatore di periferia, che parte imitando Scarface e poi torna a fare Peppe, il papà del film sulle gemelle di De Angelis, da recuperare assolutamente! Che bravo il piccolo Ibrahima Gueye ad essere sempre perfetto nell’interpretare quest’anima persa, irritante e incantevole allo stesso tempo! E che bella questa Bari dei sogni! Sì, una periferia dei sogni! Ponti riesce a rendere affascinante anche questo quartiere in cui abita Madame Rosa il che preoccupa perché potrebbe nascondere una visione radical-chic della realtà, tentare di rendere la miseria in tinta pastello. Il rischio è reale e forse se lo poteva evitare, d’altronde un film su prostitute, droga, trans, miseria e drammi vari uno se lo aspetta in tinte forti e qui effettivamente il regista sembra volare su tematiche pesanti senza approfondirne nessuna. Ma è proprio così, il senso del film va ricercato in quell’immagine che troviamo all’inizio e alla fine del film, assurda paradossalità e momento catartico del condividere vita e morte.
GUSTO: Incontro di due frutti sanguigni e delicati, nascosti dietro la scorza dura di un’intesa paradossale.
SCENA CULT: Rosa e Momò nel bunker.
FRASE CULT: “Non voglio mica leccare il culo alla felicità!”
– Ulysses Everett McGill –
Sorry, no post found.