The Human Voice

Sembra che il testo di Cocteau su un’amante lasciata dal proprio uomo con una telefonata stesse
aspettando solo questo: di essere preso, decostruito e ricostruito, da chi meglio di nessun altro ha
saputo raccontare la donna abbandonata: Pedro Almodovar.

20 minuti di cinema puro, una forma narrativa congeniale ad un testo così potente e laconico, che Pedro tradisce il giusto per presentarci
una Tilda Swinton smarrita nella realtà di un ferramenta come nella finzione di una casa-set. Tutto
vacilla sul filo del potenzialmente falso, del solamente immaginato: un amore, una casa, una vita.
Sappiamo ora cosa succede alla donna oltre l’orlo di una crisi di nervi: resiste alla vita. Scimmiotta un
suicidio, prende ad accettate un abito, cura con svogliatezza piante quasi a tenere un legame con il
reale. Ma poi apre gli occhi sulla realtà, dismette i vestiti di scena e non solo si allontana dall’inganno
di una vita costruita come pura finzione, ma quella vita decide di darla alle fiamme, ed uscire su un
oggi sicuramente meno glamour e molto più squallido, ma che almeno è tangibile.

Rassegnazione e forza femminile, siamo dalle parti de “Il fiore del mio segreto”; e mentre cerchiamo di levarci di testa
la Magnani ed il suo monologo rosselliniano pensiamo (e sogniamo) Marisa Paredes che recita
Cocteau. Senza nulla togliere alla solita, immensa, Tilda.

GUSTO: Per gli amanti del melodramma (e quindi per gli amanti di Almodovar)

SCENA CULT: Gli airpods indossati, che tagliano col passato e liberano Tilda dal filo del telefono.

– Pi –