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8

8.4

The Irishman

Direttore

Martin Scorsese

Stars

Robert De Niro, Al Pacino, Joe Pesci, Harvey Keitel

Scrittore

Steven Zaillian

Produttore

Martin Scorsese, Robert De Niro, Troy Allen

Durata

3h 29min

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Anno di produzione

2019

Frank Sheeran è un veterano della Seconda Guerra Mondiale e un autista di camion quando incontra l'uomo del destino, Russell Bufalino, boss della mafia a Filadelfia, che vede in lui il tratto principale di un buon ufficiale: l'affidabilità. Le famiglie di Frank e Russell stringono un'amicizia che va al di là (ma non al di sopra, come vedremo) del business. Russell è così fiero di Frank che lo presenta a Jimmy Hoffa, il capo del sindacato dei camionisti, più popolare di Elvis e dei Beatles messi insieme. Hoffa è vulcanico e brillante, calcolatore e stratega, ma anche affettuoso e seducente. Frank non è immune al suo carisma e diventa il suo guardaspalle, il suo consigliere e, forse, il suo miglior amico.

Fermi tutti, parla Scorsese! E si sente. Dopo tre anni dal polpettone catto-nippo-missionario di Silence, il regista di ‘Quei Bravi Ragazzi’ torna in scena con il linguaggio che preferisce, quello italo-americano.

La ricetta è composta da ingredienti stagionati e succulenti. De Niro, Pacino, Pesci, Keitel: buttati nella padella classica dei mafia-movie anni ’70, cotti a fuoco lento. Lentissimo. I primi tre mattatori si alternano su una scena di 209 minuti (3 ore e 29 minuti!), interminabile ma tremendamente fascinosa. Pochissimi sbadigli, perché il sapore nascosto della pellicola è proprio incartato tra la stagnola di una regia conosciutissima, affettivamente… è Scorsese, bellezza! E ci narra del sindacalismo colluso con la mafia italo-americana degli anni 50-70. Cadendo a cecio. Tutta la sua retorica quindi affascina, coccola, ipnotizza.

La struttura del film poi è un vortice di linee narrative che copre circa un cinquantennio, per la verità non facilissima da seguire ma si presta a giochi visuali davvero sorprendenti. Gli effetti di ringiovanimento degli attori però hanno dei limiti. Fanno ciò che promettono ma non riescono a ricostruire l’esatta espressività di un Robert De Niro trentenne, del quale viene ringiovanito solo il volto, non il fisico, i movimenti, le posture; tutto questo crea qualche disturbo alla visione, almeno nella prima parte della pellicola. Insomma, ci sembra più un esercizio di stile che una effettiva necessità narrativa.

La trama percorre molti eventi noti della storia americana, dall’elezione di Kennedy all’omicidio di Dallas. Il tutto si intreccia con le vicende del lacché Joe Pesci, del borioso Al Pacino e di De Niro, in arte “l’irlandese”, che apre la pellicola in grande spolvero da energico novizio della malavita e la chiude, bianco, rugoso, infermo, dietro una porta socchiusa di un ospizio. È la porta di un genere che ha lanciato questi stessi attori, assieme al loro maestro Scorsese: ed è stata la salvezza della New Hollywood. Una porta socchiusa, un timido tentativo di lascito testamentario di un film commovente e nostalgico, che tenta quasi disperatamente di cercare epigoni di un genere che molto probabilmente vede invece qui il suo canto del cigno, la sua opera conclusiva, il suo testamento. E francamente a noi, grati per tanta letteratura, ci va bene così.

GUSTO:

Per chi voglia provare un gusto un po’ retrò, di un Cinema che forse non c’è più.

 

SCENA CULT:

Lo scontro tra Al Pacino (Jimmy Hoffa) e Stephen Graham (Tony Pro)

FRASE CULT:

“Uscendo lasci la porta un poco aperta: non mi piace sia chiusa del tutto.”

 

– DOC & Ulysses Everett McGill –

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8

Great